sabato 2 febbraio 2013

radici maligne: la tendenza a giudicare Dio, la volontà che Egli intervenga quando sembra opportuno al buon senso umano, la sfiducia e il dubbio nei confronti del suo amore.


Gli Apostoli hanno dunque mancato di fede teologale, perché hanno voluto che Cristo intervenisse a salvarli, quando a loro sembrava opportuno. Dicendo: “Salvaci, Signore, siamo perduti!” (Mt 8,25), essi hanno sentenziato che è finita. Cristo dimostrerà loro che Dio sta sempre al di là dei nostri pensieri, e che non c’è alcun male che possiamo sentenziare come definitivo, perché Lui, se vuole, può cambiare tutto in un istante; se non vuole, vuol dire che deve andare così. La fede teologale è quindi incompatibile con l’applicazione a Dio dei nostri tempi e delle nostre aspettative. E ancora: gli Apostoli hanno mancato di fede teologale, perché hanno preteso di insegnare al Maestro, mettendo perfino in dubbio il suo amore per loro: “Non ti importa che moriamo?” (Mc 4,38). Il nostro atteggiamento, spesso, è proprio questo. Nel momento in cui le cose cominciano a prendere una piega inaspettata e sgradita, il primo pensiero è un pensiero di sfiducia, e quindi contro la fede teologale.
In queste poche battute che gli Apostoli pronunciano sulla barca, accumulano una serie di peccati contro Dio, per i quali certamente non potevano essere lodati da Cristo. Proprio perché la fede teologale è ancora assente dal loro cuore - come evidenziano i vangeli di Marco e di Luca -, sono presenti, per compenso, altre radici maligne: la tendenza a giudicare Dio, la volontà che Egli intervenga quando sembra opportuno al buon senso umano, la sfiducia e il dubbio nei confronti del suo amore. Al contrario, il centurione romano diventa la tipologia della fede teologale, capace di attendersi dal Messia un’azione salvifica, ma senza pretendere di determinarne il tempo e senza verificare di persona la sua attuazione, ma fidandosi solo della sua Parola. Don Vincenzo Cuffaro  

venerdì 1 febbraio 2013

la vita comunitaria si apre a nuove dimensioni

Impegnarsi insieme è la base della vita comunitaria. Non ci ritroviamo insieme soltanto per consolarci l'un l'altro, o anche per sostenerci l'un l'altro: per quanto importanti siano queste cose, a lungo termine la vita comunitaria si apre a nuove dimensioni. Insieme andiamo verso gli altri, insieme volgiamo lo sguardo verso coloro che hanno bisogno delle nostre cure, insieme conduciamo i nostri fratelli e le nostre sorelle sofferenti verso il luogo del riposo, della guarigione e della sicurezza. Nouwen

giovedì 31 gennaio 2013

è un pensiero insostenibile

Simone Weil
“A partire da un certo grado di oppressione, i potenti arrivano necessariamente a farsi adorare dai loro schiavi. Perché il pensiero di essere assolutamente costretto, zimbello di un altro essere è un pensiero insostenibile per l’essere umano. Allora non gli resta altra alternativa se non persuadersi che le cose stesse a cui lo si costringe le compie volontariamente”.

mercoledì 30 gennaio 2013

l'invito a sciogliere le vele

Giorgio Basadonna
Quando dirai: "Ti voglio bene!"
dirai: "Ti do la mia vita, ho bisogno di te,
sono troppo ricco, non posso pensare solo a me".

Quando ti sentirai dire: "Ti voglio bene!"
sarà l'invito a sciogliere le vele
nel grande mistero buio e luminoso
che approda a rive inesplorate.

Quando nascerà l'amore, abbi paura e trema:
non è l'avventura facile e rosea
di un sentimento che esplode
ma la partenza di un nuovo cammino.

Quando dirai: "Ti voglio bene!"
è una ferita che si apre nel cuore, un fuoco che brucia
e distrugge sterpi morti e secchi.

Quando ti sentirai dire: "Ti voglio bene!"
sarà l'amore stesso di Dio
che bussa al tuo cuore
e ti invita al grande banchetto.

Quando nascerà l'amore, piega le ginocchia,
prega e ringrazia, chiedi di essere capace
di godere il dono stupendo di Dio.

Quando nascerà l'amore, apri le finestre e porte
accendi sole e stelle, inizia la vita nuova nel mondo,
diventa dono per tutti.

martedì 29 gennaio 2013

Si diventa amanti del silenzio


Da “Spiritualità della strada” di G. Basadonna
La strada entra profondamente nella carne e nello spirito.
«La route entra dai piedi», si dice nel gergo scout. Ed è vero.
Dai piedi, cioè dall'esperienza vissuta con pazienza e con pienezza, entra nella persona qualcosa di grande e
di vero, qualcosa che resterà per sempre e che, nei giorni comuni e monotoni, terrà vivo il desiderio, la
ricerca, la tensione verso le «grandi cose», godute e conquistate sulla strada.
Si diventa amanti del silenzio: oggi è un grande pericolo quello di non saper tacere, di lasciarsi riempire
orecchi e cuore dal frastuono di cose e di parole che conducono solo all'evasione, ad abbandonare se stessi
accontentandosi di apparenze.
Si ritorna al silenzio, al colloquio con se stessi, all'ascolto di quelle parole profonde che abitano in noi, e di
quella Parola che è Dio stesso incarnato nell'umanità.
Nasce il desiderio della preghiera, dei lunghi tempi di silenzio, in cui ritrovare la pienezza di sé. (…)
Fare la strada a piedi comporta spesso la sfida alle proprie forze, alla propria resistenza, e a una malintesa
prudenza. (…)
La stanchezza è la compagna immancabile della strada.
La stanchezza fisica, presto o tardi genera quell'altra, quel senso di noia e di sfiducia in se stessi, quel
tentativo di giustificare, con motivi falsamente probanti, un cedimento e una rinuncia.
La stanchezza, in fondo, non è altro che il senso del proprio limite, l'esperienza della propria finitezza, della
propria dipendenza, del proprio essere solamente uomini e non, macchine o eroi.
Ma anche la stanchezza manifesta come il più delle volte ci si inganna sulle proprie capacità, sulla verità di
se stessi: ci si accorge che siamo maestri insuperabili nel raccontare a noi stessi delle storie non vere, nel
travisare quello che siamo e che vogliamo. Siamo specialisti nell'arte dell'inganno.
Tutti noi abbiamo almeno un'esperienza che convalida queste affermazioni: quando ci sembrava di non
poterne più, abbiamo spinto ancora, quando sembrava  di avere tutte le ragioni per fermarsi, abbiamo
continuato. E ci siamo accorti che eravamo capaci, e siamo arrivati fino in fondo, là dove volevamo.
Abbiamo vinto noi e non ci siamo lasciati vincere dalla stanchezza. (…) Non è il gusto sciocco di giocare al
super-uomo, né l'orgoglio falso di sconvolgere le leggi della natura: è solamente la capacità di vedere fin
dove in concreto arrivano le nostre forze e fin dove invece arriva il peso della propaganda, della pigrizia,
delle abitudini, di quel senso di dimissioni che è sempre in agguato nella nostra vita.
È il gusto di vivere tutta la propria personalità e non solo qualche piccola scheggia, qualche esteriore e
passeggero momento.

lunedì 28 gennaio 2013

Se si cammina in silenzio, si resta avvolti nella sinfonia maestosa che ritma il passo.


(….)
Camminare a piedi aiuta a guardare, a vedere millimetro per millimetro la strada, il paesaggio; il cielo, le
nubi, le ombre: si diventa attenti e si scoprono quei particolari che in altri modi mai si vedrebbero. Sui
sentieri di montagna o di pianura, l'orizzonte, che sembra statico, rivela invece mille e mille sfumature,
sempre nuove; emergono come per un incantesimo i volti  diversi dei prati, dei pascoli, dei ruscelli, degli
alberi, dei fiori nascosti; vengono all'orecchio le voci, i canti, i sussurri di una natura. che svela i suoi più
reconditi segreti.
Se si cammina in silenzio, si resta avvolti nella sinfonia maestosa che ritma il passo.
La canzone del vento nell'erba, nelle foglie degli alberi, nei tronchi altissimi dei pini; il ritornello degli
uccelli, dei grilli e di altre piccole e invisibili voci; l'eco lontano di qualche richiamo umano o il rumore del
lavoro: sono come voci soliste nel concerto silenzioso di tutta la natura, ritmato magari dall'imponenza
maestosa e severa di qualche catena montana.
Tutto invita alla contemplazione, a bere a larghi sorsi quella bellezza e quella grandezza così aperta e offerta
al piccolo uomo, l'unico essere capace di avvertire e godere questi immensi doni mai esauriti.

domenica 27 gennaio 2013

ogni passo che farà lo potrà compiere, se avrà fiducia nel Signore che l'ha chiamato

Il maratoneta è la persona sportiva che dopo una lunga preparazione, gareggia per lasciare tutti gli altri indietro! Sperando di arrivare da solo al traguardo, per ricevere la meritata ovazione del pubblico, oltre che un bel gruzzolo. Il pellegrino, è la persona che accetta di partire per una strada che conosce appena, non si prepara atleticamente. Cerca di arrivare alla meta, pur sapendo che è il cammino che conta, cioè quello che vive durante e non la meta in sé Parte lasciando tutto (per questo fa testamento, prima di partire). Va per la strada, sapendo che ogni passo che farà lo potrà compiere, se avrà fiducia nel Signore che l'ha chiamato e nell' imparare ad essere aiutato dal prossimo che incontra sulla sua strada.