sabato 28 settembre 2013

Chissà se lo Spirito Santo aiuta il povero Papa oggi ad illustrare almeno una di queste lampade, la prima: la fede.

Papa Giovanni, in una sua nota, che è stata anche stampata, ha detto:
“Stavolta ho fatto il ritiro sulle sette lampade della santificazione”.
Sette virtù, voleva dire e cioè fede, speranza, carità, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.
Chissà se lo Spirito Santo aiuta il povero Papa oggi ad illustrare almeno una di queste lampade, la prima:
la fede.
Qui, a Roma, c'è stato un poeta, Trilussa,
il quale ha cercato anche lui di parlare della fede.
In una certa sua poesia, ha detto:
“Quella vecchietta ceca, che incontrai / la sera che mi spersi in mezzo ar bosco, / me disse: - se la strada nun la sai / te ciaccompagno io, che la conosco. / Se ciai la forza de venimme appresso / de tanto in tanto te darò na voce, / fino là in fonno, dove c'è un cipresso, / fino là in cima, dove c'è una croce. / Io risposi: Sarà... ma trovo strano / che me possa guidà chi nun ce vede... / La ceca, allora, me pijò la mano / e sospirò: - Cammina -. Era la fede”.
Come poesia,
graziosa;
come teologia,
difettosa.
Difettosa perché quando si tratta di fede,
il grande regista è Dio,
perché Gesù ha detto:
nessuno viene a me se il Padre mio non lo attira.
S. Paolo non aveva la fede, anzi perseguitava i fedeli.
Dio lo aspetta sulla strada di Damasco:
“Paolo - gli dice - non sognarti neanche di impennarti, di tirar calci, come un cavallo imbizzarrito. Io sono quel Gesù che tu perseguiti. Ho disegni su di te. Bisogna che tu cambi!”.
Si è arreso, Paolo;
ha cambiato, capovolgendo la propria vita.
Dopo alcuni anni scriverà ai Filippesi:
“Quella volta, sulla strada di Damasco, Dio mi ha ghermito; da allora io non faccio altro che correre dietro a Lui, per vedere se anche io sarò capace di ghermirlo, imitandolo, amandolo sempre più”. Ecco che cosa è la fede: arrendersi a Dio, ma trasformando la propria vita.
(Giovanni Paolo I, Vivere la fede, Udienza Generale 13 Settembre 1978)

venerdì 27 settembre 2013

la sofferenza immeritata è redentrice.

Dio ha ancora modo di tirar fuori il bene dal male.
E la storia ha dimostrato ripetutamente che
la sofferenza immeritata è redentrice.
Il sangue innocente di queste bambine può ben servire
come forza redentrice capace di portare nuova luce su questa città tenebrosa.
La Bibbia dice: “Un bambino li guiderà” (Is 11, 6).
La morte   di questa bambine potrà portare tutto il nostro Sud
dall’ignobile cammino della disumanità
alla nobile strada della pace e della fratellanza.
Queste tragiche morti possono portare la nostra nazione
a sostituire l’aristocrazia basata sul colore con l’aristocrazia del carattere.
Il sangue sparso da queste ragazzine innocenti
può far sì che l’intera cittadinanza di Birmingham trasformi gli estremi negativi
di un passato oscuro negli estremi positivi di un futuro luminoso.
Davvero questo tragico evento può far sì
che il bianco Sud faccia finalmente pace con la sua coscienza.
(Martin Luther King).

giovedì 26 settembre 2013

L’anima non può sopportarlo a lungo: in momenti simili ci si può perdere per l’eternità. Il Signore misericordioso ha permesso allo spirito della malvagità infernale di muovere guerra all’anima mia.

Una volta fui preda dello spirito di disperazione:
sembrava
che Dio mi avesse rigettato per sempre e
che per me non ci fosse più salvezza.
Percepivo in me con chiarezza di trovarmi sull’orlo della perdizione eterna
e che Dio era inesorabilmente spietato nei miei confronti.
 Rimasi in preda a questo spirito per più di un’ora.
L’angoscia e la tortura provocate da questo spirito sono tali
che il semplice ricordo è terribile.
L’anima non può sopportarlo a lungo:
in momenti simili ci si può perdere per l’eternità.
Il Signore misericordioso ha permesso allo spirito della malvagità infernale
di muovere guerra all’anima mia.
Dopo un po’ mi recai in chiesa per i vespri
e, fissando lo sguardo sull’icona del Salvatore, esclamai:
“Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore!”.
A quelle parole vidi, al posto dell’icona, il Signore vivente,
e la grazia dello Spirito santo mi riempì totalmente l’anima e il corpo.
Così conobbi, nello Spirito santo,
che Gesù Cristo è Dio,
e questa grazia divina fece sorgere in me il desiderio di soffrire per Cristo.
Da quel preciso istante l’anima mia anela al Signore,
e null’altro più mi rallegra sulla terra: la mia unica gioia è Dio.
È lui la mia letizia, la mia forza, la mia speranza, il mio bene.
(Silvano dell’Athos, Non disperare!).

mercoledì 25 settembre 2013

Il senso della sofferenza è mutato, non tanto per dichiarazioni o teorie nuove, quanto per l'atto stesso di Cristo e per la sua particolare posizione.


La sofferenza non è segno dell'abbandono di Dio.
Essa non è,
come gli spiriti non ancora sufficientemente illuminati dell'Antico Testamento hanno creduto,
segno che Dio abbandona chi patisce
ai suoi nemici.
In realtà colui che soffre sulla croce,
è colui per il quale il Padre testimoniava:
Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi san compiaciuto (Mt. 3, 17).
Chi è crocefisso, è colui nel quale Dio si compiace.
Chi ha familiarità con la reazione di tante anime dell'Antico Testamento di fronte alla sofferenza
- la cui eco risuona lungo tutto lo svolgersi della Bibbia -
dovrebbe cogliere la trasformazione avvenuta.
Il senso della sofferenza è mutato, non tanto per dichiarazioni o teorie nuove, quanto per l'atto stesso di Cristo e per la sua particolare posizione.
Colui che soffre può ad ogni istante ripetere
quella che fu l'ultima espressione di Cristo sulla croce:
Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito! (Lc. 23, 46).
Egli può essere consegnato al tormento dell'abbandono sensibile:
la fede gli darà la certezza che perfino nelle tenebre, volendolo,
egli si trova nelle mani di un Padre che lo ama.
Egli non è lontano da Dio;
al contrario, è a lui vicino più di quanto non sia prossimo a tutto ciò che lo opprime. [...]
Ora, il fatto che il Figlio di Dio ha sofferto,
dà forza a questi sentimenti e solidità al nostro abbandono,
in quanto ci assicura che,
nel momento cruciale della nostra sofferenza,
noi siamo avvolti dall'amore di Dio.
Infatti, il simbolo della sofferenza, la croce,
é nel medesimo tempo il simbolo dell'amore.
Essa toccò in sorte a colui che il Padre ama soprattutto.
La sofferenza, fisica o morale che sia,
(lutto, separazione, insuccesso, delusione...)
non è per questo attenuata o assopita.
Essa acquista, invece, una qualità ed una risonanza del tutto diverse.
Essa viene interiormente trasformata, prende un senso nuovo.
(Yves de Montcheuil, Leçon sur le Christ).

martedì 24 settembre 2013

La mia razza promessa agli avvoltoi / Facile preda dei frantumatori d’uomini // Ma nel fondo della mia prigione / Dal fondo della mia geenna / L’anima mia è / Dritta e immobile / Senza cedere davanti al genocidio / Dritta e pronta /


PENSIERO DEL GIORNO
Dall’alba dei tempi 
Ho camminato a fatica nel fango 
Ho dormito nel fango 
Irrorato col mio sangue una terra ingrata
Ho faticato
Sotto il sole e la pioggia per costruire un mondo
Un mondo che mi esilia.  

Ho camminato  sulle ginocchia
Lungo sentieri rocciosi
Al ritmo mortale
delle pedate
Al ritmo sanguinante della frusta
La testa sempre chinata
E gli occhi pudichi di vergini
Umiliati
Violati 

La statura di un nero in piedi
Quale sfida insensata
Alla razza degli dèi
Ho camminato sulle ginocchia
Al secolare ritmo
Della frusta e dell’insulto
Quante dure lotte dovute
All’odio miope
Dei miei padroni 

Seduto sul letame del mondo, 
Non sono più un uomo 
Non sono che un paria 
Straniero sulla terra, la mia terra 
E la memoria vacilla 
Sotto tutte le parole 
Terribili 
Orribili 
Sconce 
Che inaridiscono l’Uomo 
Ed insultano la mia razza 

Ho camminato sulle ginocchia
Alla caviglia pesanti catene
Al collo la gogna secolare dell’odio
E questa gogna storica
Ha trovato
Scavata, disperatamente sfinita
La mia voce d’usignolo
La carta del mondo porta
Indelebile
Il segno della mia sofferenza di nero
Domani, sì domani
In una leggendaria sfida
Al processo della Storia
Elencherò
la lunga, minuziosa
Esauriente
La lunga catena delle sofferenze
Di questa razza, la mia razza
La mia razza promessa agli avvoltoi
Facile preda dei frantumatori d’uomini

Ma nel fondo della mia prigione
Dal fondo della mia geenna
L’anima mia è
Dritta e immobile
Senza cedere davanti al genocidio
Dritta e pronta
All’appuntamento
Con la fratellanza
Sugli aridi sentieri
Della dura LIBERTÀ
Dal fondo della mia prigione
Allungo la mano
Per costruire un mondo
Solidale
Un mondo che dica ciò che è essenziale
Un mondo che porti agli uomini
Un mondo che esprima l’Uomo. 
(Joseph Modeste Tala, Ai morti d’Africa).

lunedì 23 settembre 2013

il cristiano deve tradurre nella sua vita la stessa immagine di Cristo, così come è stato nella povertà che Egli ha rivelato la gloria del Padre.


La parola di Dio non si confonde con nessuna legge, rito, usanza, regime politico o organizzazione sociale.
Essa contesta tutto, trasforma tutto. 
Accettarla è passare a vedere e a vivere in un altro modo. 
Essa rappresenta una sfida ad ogni parola umana e
ci permette di penetrare nel cuore degli avvenimenti. 
Attraverso essa il cristiano svela il significato radicale della storia. 
Qual è il contenuto di questa parola? 
Essa rivela in Gesù Cristo la promessa del Regno di Dio
che si manifesta a tutti coloro che amano.
Gesù è la parola di Dio che si rivela nella storia umana.
Dio ci parla in suo Figlio che si fa presente tra noi
come colui che serve e non cerca, invece, di essere servito.
Il Figlio di Dio, uomo del popolo, è povero e perseguitato.
Il segno della sua presenza è
che “i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me” (Mt 11, 5-6).
[...] Qual è la conseguenza di ciò nella nostra vita?
Il cammino della Chiesa è quello della povertà e della persecuzione (Lumen Gentium 8).
Questo è stato il cammino di Gesù.
Perciò, il cristiano deve tradurre nella sua vita la stessa immagine di Cristo,
così come è stato nella povertà che Egli ha rivelato la gloria del Padre.
[...] Dal punto di vista del Vangelo,
il povero è colui che pone tutto al servizio dei poveri e
che nulla trattiene per sé pregiudicando gli altri.
Implica ancora di donare tutto il superfluo,
di vivere modestamente e di lottare per la liberazione del povero-carente,
l’uomo oppresso e sfruttato, fisicamente e spiritualmente.  
[...] Nella visione dell’amore cristiano tutti gli uomini sono uguali.
Così la parola di Dio ci converte e ci fa vedere tutto in maniera differente.
Ci strappa dalla mediocrità borghese, chiusa in un universo di illusioni e utopie.
Ci lancia nell’avventura imprevedibile della croce – sigillo di garanzia e valore della nostra esistenza.  (Fr. Fernando, Fr. Ivo, Fr. Betto, O Canto na fogueira).

domenica 22 settembre 2013

L’atteggiamento fraterno e amichevole, se non cerca il bene reciproco attraverso l’esercizio della misericordia, rende la fraternità inefficace come liberazione dalle miserie e mutua solidarietà


Come avviene nell’amicizia che Gesù ha per noi,
il nostro amore fraterno è un amore misericordioso.
In Gesù, la misericordia fa sì che la sua amicizia sia solidale e liberatrice; 
e l’amicizia che ha per noi fa sì
che la sua misericordia non ci opprima,
né ci collochi in uno stato di inferiorità.
In modo analogo, anche noi dobbiamo unire alla misericordia
un atteggiamento di amicizia fraterna. 
Ci libereremo, così, da due tentazioni della carità cristiana: 
l’orgoglio (fariseismo) o il paternalismo; 
e, analogamente, l’inefficacia del puro sentimentalismo o le mere buone intenzioni. 
L’atteggiamento fraterno e amichevole,
se non cerca il bene reciproco attraverso l’esercizio della misericordia,
rende la fraternità inefficace come liberazione dalle miserie e mutua solidarietà. 
È proprio dell’amore cristiano l’efficacia;
ed essa si ottiene attraverso l’esercizio della misericordia, ad imitazione di Gesù. 
D’altronde, la misericordia se non è accompagnata da un atteggiamento di fraternità o amicizia
rischia di umiliare l’altro,
di non rispettarlo in tutta la sua dignità
o di creare in “chi aiuta” sentimenti di superiorità. 
Sapersi e sentirsi fratello (o almeno amico) rende umile e dolce la misericordia
e fa sì che gli aiuti e la solidarietà, compreso l’apostolato
– che è la forma più elevata di misericordia -, creino legami di amicizia e di fraternità. 
Il vero amore di misericordia non consiste soltanto nel dare cose, denaro, tempo, dottrina o consigli. 
È donare se stesso in fraternità attraverso tutto ciò.
La solidarietà cristiana è sintesi di fraternità e misericordia. (Segundo Galilea, L’amicizia di Dio).